VOLUMES

This book: in the beginning was the myth, and in the beginning was the poem. These pearls of Italian poetry by Beatrice Bressan, translated neatly and brilliantly into Arabic by Fadi Abu Deeb, and from the original version into English by Beatriz de Meirelles, affirm what Jabra Ibrahim Jabra has once said in his description of the nature of poetry, that it is a myth disguised as a poem or a poem in the form of a myth. In form, this book consists of several poems, but in fact they constitute a holistic body, as one long text, inspired by an African myth – the myth of Makonde. Thus, these poems comprise a homogenous corpus of mythical fiction, and delicate and dreamy poetic expression, which never ceases to exhibit the intensity of human struggle for peace, friendship and love, across the whole world. […]

Ibrahim Khalil

Adorno scrive: «il compito attuale dell’arte è di introdurre caos nell’ordine»; io potrei parafrasare così: «il compito attuale dell’arte è di introdurre l’ordine nel caos»; ancora Adorno: «l’arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità»; io potrei parafrasare così: «l’arte è magia costretta nella gabbia di ferro della menzogna del senso (e del non senso)». Ormai è un fatto che la lirica (o meglio ciò che rimane della lirica dopo la fine dell’età della lirica), è quella forma artistica che condensa un massimo di spiritualizzazione in una forma che nega qualsiasi possibilità di spiritualizzare qualsiasi «contenuto di verità»; e già il concetto di «contenuto di verità» sembra un attrezzo buono per la ginnastica spirituale dei banausici dell’evo mediatico: in realtà, non si dà più un «contenuto di verità» che sia tale, che sia scontato, tantomeno in «poesia», dove davvero «I cinque elementi» risultano concetti inafferrabili e indistinguibili, se per essi intendiamo qualcosa di oggettivo, diremmo ontologico, una entità fissa e immutabile che sta lì pronta ad essere ghermita e lavorata dagli apparati di produzione e dalla forza produttiva di un artigiano artifex. Il «reale» in poesia è ciò che sta dentro la sua «forma» e, al contempo, che la eccede e la pregiudica. Considerare l’arte come un manufatto è già un concetto affine al paleolitico superiore in un mondo che falsifica tutti i prodotti al piano della merce; insomma l’arte non è un prodotto che può essere falsificato o verificato, o meglio, non è un prodotto socializzato di una società che non sa più che farsene di questa presunta socializzazione non richiesta dal mercato delle esperienze spirituali. […] E allora che cos’è? Certo non è «I cinque elementi» del cosiddetto reale, concetto troppo prossimo al pragmatismo dei pessimi ideologi apologetici. 

Giorgio Linguaglossa

L’énergie infinie / de l’univers / a un sens. Au delà, incompréhensible. / Elle nous contient / tous, / dans les bonheurs et les angoisses. /Fions-nous / du mécanisme/ éternel. / En lâchant prise, nous comprendrons. » Ces quelques vers sont suffisants pour expliquer que le parcours poétique de Beatrice Bressan est un voyage d’expériences qui garde encore une dimension dantesque. En effet, tout comme Dante, elle perçoit le sens primaire et naturel de la vie comme mouvement, énergie et elle essaie de lire la signification de son propre destin et du notre par rapport aux mouvements de l’histoire et de l’univers. […] En essayant de « sentir les vibrations de l’univers », elle fuit la logique, les « chaȋnes de l’esprit » et se confie à la parole poétique, entreprenant un chemin au bout duquel elle pourra peut-être découvrir que comprendre et « poéter » sont un seul mouvement et que la science et la poésie, tout en parlant des langages différents, sont animées par le même sens de stupeur et de merveille face au mystère de la réalité.

Elisabetta Motta

 

We are totally unaware of the mindset of the ancients as they looked up at the heavens many millennia ago – be they the Babylonians, the Anasazi Indians of the Americas or the Makonde people of Africa – but we do know what they saw: dots spread out over what seemed to be a heavenly canopy. Certain groups of dots – stars – took on patterns of animals or gods. Ancient stargazers interpreted comets and eclipses as omens of doom. They all sought insights into the mystery of The Origin, seeking answers to eternal questions such as: Why are we here? What is the meaning of it all? The distinguished poet Beatrice Bressan explores: “African mysteries / speak of thousand-faced / countries and peoples.” She focuses on the Makonde, who live mainly in northern Mozambique, but her queries hold for humankind through the centuries. She attempts to enter into the Makonde psyche when they observed the heavens: “Words failed me / to say how beautiful t’would be, / how just t’would be.” Words fail the poet as it did ancients everywhere who pondered the mystery of the heavens. Some observers dared contemplate the possibility that what they saw was actually only part of a cosmos infinite in extent. At the dawn of modern science the astronomer and astrologist Johannes Kepler wrote of a “hidden terror” when one “Minds oneself wandering in this immensity, to which are denied limits and centre and therefore also all determinate places.” What Kepler had in mind was the cosmos made by God – the cosmos which we can see, finite in extent because only God can be infinite; but in fact the cosmos of science turned out to be infinite. Which was physical reality? Vincent van Gogh attempted to capture secrets of the night sky in his painting Starry Sky, drawn “from my imagination,” as he wrote. I have quoted a poet, a scientist and an artist for an understanding of the cosmos has always been a truly interdisciplinary adventure. Bressan captures this: “Crushed beneath the weight of logic, / I long for the instinct of emotions, / want to shatter the chains of my mind, / feel the vibrations of the universe.” By the 20th century the task of understanding the heavens had become quite a bit more complicated. Astronomers found that different stars were at different distances from the earth and there were other galaxies in addition to ours. With help from Einstein’s relativity theory and quantum physics, scientists began to understand how stars were born, lived and died. But we must look beyond physics in order to understand the aesthetics of the heavens as well as that most human of attributes: consciousness. This is what Bressan means when she writes of the need to “feel the vibrations of the universe.” To accomplish this we have to go beyond “the weight of logic”. […] In this slender volume Beatrice Bressan offers an eloquent poetic hymn to humankind’s quest to understand its origins: “Ask me / about a poet, / the greatest. / I would say, / the one who joined /my hand to the sun”.

Arthur I. Miller

Non sono molti i poeti che sanno crescere giorno dopo giorno […]. Beatrice Bressan invece ha saputo avere l’atteggiamento giusto per continuare a scavare nel proprio io, per sciogliere i nodi dell’infanzia, i grumi che ogni essere umano si porta dietro e che spesso diventano un peso insopportabile. […] Per fortuna, venuta fuori l’arte, la voce della poesia, questa voce di una Beatrice che, passata al “fuoco della controversia” e ne è uscita quasi indenne, con un suo modo d’essere molto particolare, difficilmente definibile. A noi però preme vedere come questo suo traguardo abbia dato frutti in poesia, come abbia trovato la strada della parola per esprimersi non tanto e non solo per se stessa, ma anche per i lettori ed avere quella adesione che ci permette di leggere il mondo nella sua ampiezza e nel suo dolore universale. […] Si comprende come la poetessa abbia chiaro il percorso compiuto e da compiere, al punto che evita di concludere con la parola “amore” sostituita convenientemente dalla parola “pace”. Questo libro, perciò, va letto dimenticando i luoghi comuni, affidandosi totalmente alle parole della poetessa che ha voluto dimostrare che niente nasce dal caso, soprattutto quando si tratta di pace.

Dante Maffia

Número 40 de la colección Pliegos Literarios del Instituto de Estudios Altoaragoneses. En esta ocasión el poema Sueños para el futuro de Beatrice Bressan es traducido por Teresa Albasini. Ilustra este delicado pliego Virginia Unzúe.

Teresa Albasini Legaz

Uno dei poeti che maggiormente ha influenzato le generazioni a lui successive è stato T.S. Eliot. Gli echi della sua lezione sono riscontrabili ovunque, non fosse altro che per gli incipit che fotografano con immediatezza un dato della realtà subito trasformata in altro, addirittura in scatto metafisico, in dialogo filosofico. Anche la poesia di Beatrice Bressan è sfiorata dal magistero dei Quattro quartetti e soprattutto de La terra desolata: ne è prova il titolo delle sezioni che compongono questo libro e fa piacere constatare che ancora ci sono poeti capaci di connettersi alla grande tradizione del primo Novecento per sviluppare quei fermenti che non sempre all’epoca trovarono il giusto ascolto. Beatrice Bressan per vivere si occupa di scienze, lavora al Cern, il laboratorio europeo per la fisica delle particelle, ma da sempre ha sentito il bisogno di esprimersi in versi. […] Con quel garbo e quella precisione che sempre hanno gli uomini di scienza, anche Beatrice Bressan ha saputo raccontarci della sua interiorità e delle sue vicende umane, ma senza farne una vetrina, senza esibire nulla. Discretamente, come chi vuole scoprire i nodi intricati del proprio essere, si è immersa nel diluviare dei suoi pensieri e delle sue sensazioni ed ecco che passato, presente e futuro si sono posti all’orizzonte in un’unica linea, per permetterle un bilancio sereno dei suoi giorni, per darle la possibilità di continuare a camminare al di là di qualsiasi interferenza.

Luigi Reina

Ho avuto già il piacere di introdurre l’opera prima della Bressan, I sentimenti dimenticati, e volentieri mi appresto a fare la stessa cosa per questo secondo libro di poesie di questa signora che è, per cultura, per carriera un “fisico”, ma che è anche per animo e cuore un poeta (tutto al maschile, come si usa adesso, ma stride un po’). […] L’Autrice chiama le sue poesie criptiche, ed infatti lo sono in quanto esprimono il subconscio, l’intimo dei momenti più gravi e terribili dell’esistere; ma direi più che criptici si tratta di versi intimistici nel dolce e nell’amaro. […] È poesia lirica? Direi di sì, lirica che ritorna in questo tempo, nell’ultima generazione (il prefatore è modestamente un lirico) che nei versi della Bressan diviene espressione di una irrefrenata ideazione creativa ed anche consolatoria per se stessa, che, in fin dei conti, vuole partecipare al lettore il suo patire, per condividerlo con lui, per non sentirsi sola, perché da sola ha affrontato ed affronta il mondo, perché lavora all’estero, ed anche perché vuole partecipare anche quelle poche felicità, momenti di gioia, di eros, di forza, di debolezza! Perché? Per non sentirsi sola, ripeto, per sfogarsi (brutta parola), per condividere, per vedere che gli altri sono in fondo come Lei, ma con la differenza che Lei ha i mezzi di espressione, congeniti e coltivati, come si è detto in precedenza, che sono in pochi ad avere. Concludo sottolineando che, se si considera soprattutto che la Bressan è autodidatta e che i suoi studi sono stati soprattutto se non solamente scientifici, la nostra Autrice si può considerare una poetessa al maiuscolo. Ma anche prescindendo da questa considerazione si può definire la nostra Autrice una originale poetessa dalla vena veramente superiore.

Nevio Nigro

Le poesie di Beatrice Bressan, studiosa applicata presso uno dei più avanzati centri di ricerca scientifica della materia collocato a Ginevra, rappresentano l’esemplare ritorno del canto lirico, quale oggi si manifesta in modo tipico nelle opere degli autori dell’ultima generazione: in esse si legge la prorompente irruzione del soggetto sulla scena del mondo, che improvvisamente si è reso illeggibile e contraddetto.[…] È avvenuto che la realtà del collettivo si è resa intelleggibile, ancorché inesistente: quel canto di denuncia accorata e partecipativa per i comuni destini del mondo e dell’umanità, che tanta parte ebbe nella letteratura e particolarmente nella poesia dello scorso secolo – e penso a Giuseppe Ungaretti, a Cesare Pavese, a Eugenio Montale, a Salvatore Quasimodo – ma che già aveva tratto le sue scaturigini dal malessere e dalla denuncia sociale espresse per primo da Walt Whitman ancora in pieno Ottocento, si è esalato e si è disperso in un’ecolalìa scomposta e manieristica di situazioni e di modi usurati del rappresentare per versi la presunta fisionomia del collettivo, come fosse l’eserciziario di un manuale sociologico, che, alla fine, è svaporato in un’evanescenza di paradigmi polverosi. […] Mancano tutti i valori. Dopo la morte di Dio, è morta anche la teoria filosofica o politica che lo aveva posto in liquidazione. […] È questa, nella generalità dei modi e degli accenti, la poesia dell’ultima generazione che sale oggi alla ribalta, e non solo in Italia. […] Ecco, allora, il mondo sublime e sublimato di Beatrice Bressan, perfetta rappresentante di quest’ultima generazione di poeti che giungono alla poesia dopo avere raggiunto traguardi oggettivi del sapere in tutte altre disicipline, e che “grida” le sue illuminazioni tra eros, patos e visione, in un trittico compositivo di prorompente ideazione creativa, che coniuga insieme originalità ed erudizione.

Sandro Gros-Pietro